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Ernesto Rossi
25.08.1897 - 09.02.1967
Originario di Caserta, partecipa come volontario alla Grande guerra; al ritorno entra in contrasto con i socialisti e guarda con interesse a nazionalisti e fascisti; tra 1919 e 1922 incontra Gaetano Salvemini, al quale resterà legato per tutta la vita sul piano intellettuale ed umano; l'incontro muta radicalmente le sue idee sul fascismo; fonda il giornale clandestino "Non mollare" (chiuso nel '25 per l'arresto di quasi tutti i redattori); fugge in Francia ma poco dopo rientra in Italia e, vincitore di un concorso per l'insegnamento, sceglie la cattedra di diritto e economia al "Vittorio Emanuele II" di Bergamo; a Milano ha contatti con Luigi Einaudi, Ferruccio Parri, i fratelli Rosselli, Bauer e il gruppo antifascista di Giustizia e Libertà; nel 1930 l'intero gruppo viene tradito da un infiltrato della polizia fascista e mentre sta tenendo la sua lezione di economia, viene arrestato e tradotto al carcere di Regina Coeli di Roma; condannato a 20 anni di carcere sconta una parte del confino a Ventotene dove matura le idee federalistiche suggellate nel celebre Manifesto di Ventotene scritto con Altiero Spinelli; all'indomani della Liberazione, in rappresentanza del Partito d'Azione, è sottosegretario alla Ricostruzione nel governo Parri; dal 1945 al 1958 è presidente (incarico affidatogli da Parri e confermato da De Gasperi) dell'Azienda per il Rilievo e l'Alienazione dei Residuati bellici-ARAR; l'ARAR è un caso più unico che raro di ente pubblico che produce consistenti utili per le finanze dello Stato e che si auto-liquida a conclusione del proprio mandato; dopo lo scioglimento del Partito d'Azione aderisce al Partito radicale, di cui è tra i fondatori e di cui rifiuta ogni incarico direttivo preferendo dedicarsi al giornalismo di inchiesta sul "Mondo" di Mario Pannunzio; qui ha modo di manifestare la sua natura di studioso critico ed impegnato, denunciando le malefatte, irridendo le asinerie, sbugiardando le falsità della vita politica ed economica italiana e del cattolicesimo; fu durissimo anche con i comunisti, criticò liberali ("liberaloni con la tuba") e socialisti ("comunisti mal riusciti"); paladino di un'Italia laica, liberale, più civile prese parte a tutte le principali battaglie contro la commistione tra economia e politica, il potere monopolistico della grande industria e dell'alta finanza, la corruzione amministrativa, il conservatorismo delle corporazioni sindacali e le ingerenze clericali nello Stato