Il progetto di fare gli italiani diventò quello di fascistizzare gli italiani. Senza più la democrazia e senza più la libertà. Il Partito Nazionale Fascista fu «il partito unico», lo strumento per garantire la compattezza politica e ideologica del nuovo regime. Una fitta rete di istituzioni moltiplicò la presenza dello Stato nella società per accompagnare il cittadino «dalla culla alla tomba», prevedendo organizzazioni in cui inquadrare i bambini, i giovani, gli adulti, le donne, le singole categorie produttive, ma anche i momenti essenziali della vita sociale, dal tempo libero ai matrimoni, alle feste, alle ricorrenze familiari. Nacque una nuova religione civile, con relativi riti e cerimonie, incentrata sul culto di Mussolini. L'urbanistica fascista, l'architettura fascista, la scuola fascista, la cultura fascista, la propaganda fascista, la radio fascista, il cinema fascista, l'economia fascista, lo sport fascista contribuirono a ridisegnare lo spazio pubblico degli italiani, a definirne una nuova identità collettiva. Da questo spazio pubblico furono violentemente esclusi gli oppositori politici. Per più di venti anni essere all'opposizione volle dire scegliere la clandestinità, l'illegalità, l'esilio. Ancora più radicale fu l'esclusione che colpì gli ebrei italiani che con le leggi razziali del 1938 vennero espulsi dalla cittadinanza: si aprì una ferita mai rimarginata, adottando la razza come requisito per essere italiani. Così, le armi degli italiani furono questa volta chiamate ad assecondare le mire imperiali di un'ideologia fortemente caratterizzata dal rapporto con la guerra. Prima con la riconquista della Libia (1928-1932), poi in Etiopia (1935-1936), in Spagna (1936-1939) e in Albania (1939). L'anno successivo l'esercito entrò in azione in maniera tragica e definitiva, scaraventando l'Italia nel cuore della Seconda Guerra Mondiale