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1914-1922

La guerra e la crisi dello Stato liberale

A risvegliare bruscamente l'Italia dalla pacifica operosità dell'età giolittiana furono i colpi sparati a Sarajevo il 28 giugno 1914 contro l'arciduca Francesco Ferdinando. L'Italia entrò nella Prima Guerra Mondiale il 24 maggio 1915 e gli italiani in armi conobbero nelle trincee un'esperienza collettiva che li unì tutti nelle sofferenze e nei pericoli di un conflitto enormemente distruttivo. Mentre si combatteva sulle pietraie nel Carso, il ruolo dello Stato nella società e nell'economia conobbe un'espansione senza precedenti. Una guerra lunga, impegnativa e costosa come quella che si stava combattendo poteva essere sostenuta solo dall'intervento pubblico, l'unico in grado di attivare, coordinare, gestire tutte le energie disponibili. In questa direzione fu significativo il varo di un governo di unità nazionale, guidato da Paolo Boselli, in cui entrarono anche socialisti riformisti, repubblicani e radicali (giugno 1916). Il 24-26 ottobre 1917, dopo la gravissima sconfitta di Caporetto, gli austriaci dilagarono in profondità per 150 chilometri verso la Pianura Padana, in un'offensiva che si arrestò soltanto sulla linea del fiume Piave. Un anno dopo, la controffensiva italiana, scatenata il 24 ottobre (proprio in occasione dell'anniversario di Caporetto), si concluse vittoriosamente con la rotta generale delle truppe austriache, a Vittorio Veneto e su tutto il fronte. Il 4 novembre 1918 fu firmato l'armistizio che sancì la fine delle ostilità. L'Italia vittoriosa era però attesa da un dopoguerra altrettanto drammatico. La violenza sperimentata al fronte rimbalzò nel Paese, in una spirale di odio che le istituzioni dello Stato liberale non riuscirono a controllare. A stroncare le tensioni sociali che alimentarono i conflitti del biennio rosso intervenne lo squadrismo fascista. Il movimento capeggiato da Benito Mussolini si presentò contemporaneamente sia come forza d'ordine, restauratrice dell'autorità dello Stato liberale, sia come forza rivoluzionaria disposta a scardinarlo. Grazie a questa configurazione «bifronte» il Fascismo sperimentò una tattica che si dimostrò tremendamente efficace: utilizzare la sua capacità di sconfiggere militarmente gli avversari grazie alla violenza illegale delle sue «squadre», per legittimarsi come un interlocutore affidabile agli occhi della vecchia classe politica e dell'opinione pubblica moderata. Il 28 ottobre 1922, con la marcia su Roma, finì lo Stato liberale e finì la democrazia. Cominciava il lungo Ventennio della dittatura fascista