This text will be replaced
1870-1914

Lo Stato liberale

Fatta l'Italia bisognava fare gli italiani. A mettere mano a questo progetto fu innanzitutto lo Stato liberale: la scuola e l'esercito (che insegnavano la lealtà verso le istituzioni), la pubblica amministrazione furono le impalcature che servirono a costruire un tessuto unitario che aiutò a riconoscerci come appartenenti a una patria comune. La nazione fu il cardine di una nuova religione civile. Essa forniva il cemento che legava tutti i cittadini al loro Stato. E la monarchia sabauda, con i suoi simboli e i suoi riti, si propose come fondamento di questa nuova identità collettiva. Si allargò lo spazio pubblico della cittadinanza: il corpo elettorale passò prima dal 2,2% della popolazione al 6,9% (nel 1882), poi, nel 1912, con l'introduzione del suffragio universale maschile, gli aventi diritto al voto diventarono 8 milioni e mezzo, pari al 24%. Sia il Nord che il Sud furono allora segnati dalla prima grande emigrazione italiana, intrecciando le scelte di chi lasciò le proprie case per ragioni di sopravvivenza e di chi semplicemente andò a cercare fortuna in terre lontane, in Europa e in America. Da una nazione la cui popolazione oscillava intorno ai 33 milioni di abitanti, si ebbe, tra il 1900 e il 1914, un flusso che solo verso gli Stati Uniti coinvolse quasi 3 milioni e mezzo di persone. Deposte le armi che erano servite a conquistare l'Unità e l'indipendenza, gli italiani imbracciarono quelle che pensarono necessarie per partecipare alla spartizione del mondo insieme alle altre grandi potenze coloniali. Tra sconfitte, Adua (nel 1896), e vittorie (guerra di Libia nel 1911-1912). L'Italia si sentiva una nazione giovane, fiera di un vertiginoso decollo industriale che in pochi anni fu in grado di incidere profondamente sulle basi strutturali della sua economia. Ad accompagnare lo sviluppo ci fu una classe politica, come quella giolittiana, convinta che lo Stato dovesse garantire il libero svolgimento della lotta sindacale, limitandosi a reprimere la violenza e gli eccessi, attraverso il dialogo con le associazioni dei lavoratori e accordi parlamentari con i socialisti e i cattolici, che proprio in quegli anni si stavano legittimando come i rappresentanti di vaste masse popolari.