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Le migrazioni

Ventinove milioni di migranti italiani dall'Unità a oggi hanno dovuto abbandonare il proprio paese e le proprie case per necessità di sopravvivenza. Un numero che rappresenta un impressionante fenomeno di esclusione. Un momento di forte integrazione e di progressivo avvicinamento di mondi fino ad allora estranei avviene invece, negli anni sessanta, con il fenomeno delle migrazioni interne che porta milioni di persone verso il triangolo industriale Torino-Genova-Milano. Oggi l'emigrazione italiana è mutata di segno. È il lavoro ad alta qualificazione intellettuale che si sposta all'estero per mancanza di opportunità adeguate nel nostro paese. È la «fuga dei cervelli». Tuttavia il fenomeno più rilevante e complesso, per i problemi di accoglienza e integrazione che pone, è l'immigrazione dai Paesi meno sviluppati del mondo, che oggi appare come una tendenza irreversibile.


 


La grande emigrazione


Ventinove milioni di persone lasciano l'Italia dal 1861 ai giorni nostri, dal Nord e dal Mezzogiorno, diretti sia verso l'Europa, sia verso le Americhe. Gli anni dell'«età liberale», quelli che precedono la Prima Guerra Mondiale, coincidono con la «grande migrazione», valutata il più imponente esodo dell'epoca moderna. Nei primi decenni del Novecento questa ondata migratoria si arresta, anche in conseguenza di misure restrittive introdotte da numerosi Paesi per difendersi da una immigrazione di massa indesiderata. Spesso, mentre gli italiani all'estero prendono coscienza della loro nazionalità d'origine, nei luoghi di accoglienza crescono sentimenti anti-italiani. Questi sentimenti, ad esempio, pesano in modo decisivo, nel 1927, sulla condanna a morte degli anarchici Bartolomeo Sacco e Nicola Vanzetti negli Stati Uniti.


 


L'emigrazione politica


Con l'avvento del Fascismo, poi, il fenomeno migratorio si tinge di una coloritura politica: circa 60.000 oppositori del regime sono costretti all'esilio. Fra costoro, i cosiddetti «fuoriusciti», si annoverano Piero Gobetti (morto a Parigi nel 1926), Gaetano Salvemini, Carlo Rosselli (assassinato con il fratello in Francia nel 1937), Luigi Sturzo, Palmiro Togliatti.


 


Nuove ondate


Le due guerre mondiali, il Fascismo e la crisi del 1929 sono stati fattori di rallentamento dell'emigrazione. Ma con il secondo dopoguerra il flusso migratorio riprende. Dapprima, nel decennio 1946-1955, verso mete lontane: il Canada, le Americhe, l'Australia; quindi, tra il 1961 e il 1965, in netta prevalenza verso l'Europa del centro e del nord. Svizzera, Francia, Germania e Belgio sono le mete privilegiate. Cantieri e miniere si riempiono di italiani; e molti fra loro cadono sul lavoro, per un totale di 867 vittime. L'episodio più tragico è il disastro della miniera di Marcinelle, in Belgio, nel 1956, dove su 262 morti 136 sono italiani. Dagli anni sessanta, poi, si muovono all'interno del Paese, dal Sud verso le industrie del Nord, ben quattro milioni di persone.


 


Gli italiani all'estero


Anche oggi, il fenomeno migratorio non si è del tutto arrestato. Risiedono all'estero quattro milioni di italiani: fra questi, spesso, giovani laureati e professionisti alla ricerca di posizioni più stabili e qualificate. Ben più alto, naturalmente, è il numero dei cosiddetti «oriundi», coloro che, ormai naturalizzati nei Paesi di accoglienza, hanno origini italiane: questi sono fra i 60 e i 70 milioni. Le comunità d'origine italiana più numerose si trovano in Argentina, Brasile, Stati Uniti, Canada e Australia.


 


I nuovi italiani


A partire dagli anni settanta, i flussi migratori si sono invertiti: l'Italia ha cominciato a essere meta di immigrazione. All'inizio del 2010 i cittadini stranieri sono più di 4 milioni, oltre il 7% della popolazione. Le comunità più rappresentate sono quelle romena, albanese, marocchina, cinese, ucraina, filippina, moldava, tunisina, indiana; ma sono circa 130 le nazionalità segnalate. Oltre un quinto della popolazione straniera è minorenne e il 16,5% dei nati nel 2009 ha madre straniera. Fenomeni di clandestinità e criminalità inquinano anche in Italia la convivenza fra le comunità di accoglienza e gli immigrati. Episodi come quelli di Rosarno e Gioia Tauro, nel 2010, rappresentano il disagio e le contraddizioni che segnano anche in Italia il dibattito sulle forme, i limiti, i diritti e i doveri legati alla cittadinanza.